

<< Negli ultimi dieci anni, Sergei Paradjanov ha fatto solo due film: 'Le ombre degli avi dimenticati' e “Il colore del melograno”. Hanno influenzato il cinema come prima cosa in Ucraina, in secondo luogo in questo paese nel suo complesso, e terzo – nel mondo intero? Artisticamente ci sono poche persone al mondo che potrebbero sostituire Paradjanov. Egli è colpevole – colpevole della sua la solitudine. Siamo colpevoli di non pensare a lui ogni giorno e di non riuscire a scoprire il significato di un maestro. >> Andrei Tarkovsky [lettera al Comitato Centrale del Partito Comunista dell’ Ucraina]
Georgiano di origine armena, Parajanov appartiene al cinema ucraino per il suo primo capolavoro, Le ombre degli avi dimenticati (1964) opera visionaria e poetica che si rifaceva a due generi cinematografici: quello etnografico e quello lirico molto attento alle scene nei particolari, con tinte oniriche e irreali e visioni sconvolte. Appartiene poi al cinema georgiano-armeno per il secondo, Sayat Nova, ovvero Il colore del melograno (1968-69), opera letterario-figurativa dedicata appunto a Sayat Nova, poeta-cantore armeno del sec. XVIII. Opere eterodosse e assai diverse tra loro, l'una rutilante e sanguigna, l'altra statica e raffinatissima, costituiscono entrambe la rivelazione di un grande cineasta, misconosciuto e ostacolato in U.R.S.S. Si riallacciò all'estetica futurista, arricchendo il testo di quadri dedicati alla vita del cantore armeno e montaggi eccessivamente sperimentali (le pellicole venivano tinte in base allo stato d'animo del protagonista). Alla fine del 1982, dopo anni di persecuzioni e anche di prigionia, iniziò in Georgia il film di ambiente medievale La leggenda della fortezza di Suram, presentato alla Casa del Cinema moscovita nel 1985.
INTRODUZIONE E PROIEZIONE DEL FILM
A SEGUIRE DIBATTITO
Il colore del melograno (URSS, 1968) di Sergei Parajanov
La visione di Sayat Nova, il capolavoro di Sergei Parajanov del 1969 altrimenti conosciuto come Il colore del melograno, travalica la semplice esperienza cinematografica. Il colore del melograno è un crocevia mesmerico di cinema, poesia, pittura, musica, arte. E a maggior ragione, per chi conobbe questo film da un passaggio televisivo di Fuori orario, lo è nella magnificenza della versione restaurata presentata a Cannes Classics, che peraltro restituisce il film nel ‘Parajanov’s cut’ o versione armena, così definita anche per distinguerla dalla versione russa, quella rimontata da Sergei Yutkevic per intervento delle autorità sovietiche, che poi è quella che ha circolato anche all’estero. Vari esegeti esprimono forti dubbi, va detto, che nemmeno il Parajanov’s cut rispecchi la vera concezione dell’autore che ebbe non pochi condizionamenti e limitazioni anche dalla casa di produzione armena quando realizzò il film. La composizione delle immagini di Parajanov passa per nature morte e tableau vivant di grande complessità e geometrie, conflitti grafici di montaggio, allegorie (come la conchiglia sul corpo nudo femminile). E poi canti, danze, pantomime, sinfonie visive, musiche con ashik e altri strumenti tradizionali. La distillazione in immagini cinematografiche di una cultura antica come quella armena. Una fitta tessitura visiva che ancora induce un richiamo cinematografico lontano e casuale, ad Atom Egoyan che riconosce come le sue circonvoluzioni, in questo caso narrative, rappresentino un debito della sua origine armena nell’arte tessile dell’intreccio di arazzi e tappeti. Parajanov inserisce una fitta trama iconologica con elementi artistici, capitelli, tappeti, cammei, arazzi, bassorilievi, monasteri, intarsi, architetture medievali, realizzando una compenetrazione e una simbiosi tra immagine filmica e immagine artistica, a un livello poche volte conseguito nella storia del cinema (le vette in questo senso sono state Ivan il terribile e L’imperatrice Caterina). E in generale il regista spazia per tutta una serie di immagini sospese, di contaminazioni tra cinema e pittura e altre arti. Dall’effetto quadro di cui sopra, quando la messa in scena filmica riproduce immagini della storia dell’arte. Poco importa individuare quali siano le opere di riferimento, è evidente il tributo all’iconografia dell’epoca storica del film.
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