'Non voglio raggiungere l'immortalità attraverso le mie opere; voglio raggiungerla vivendo per sempre. Non mi interessa vivere nel cuore degli americani; preferisco vivere nel mio appartamento.'
Woody Allen compie 80 anni ed è ancora sulla cresta dell'onda. Ogni anno un suo nuovo film esce in sala e i suoi capolavori del passato sono ancora vivi nella memoria di tutti.
In questa settimana speciale proveremo a tracciare un ritratto di questo personaggio unico, grande sceneggiatore e genio della settima arte.
Gira e dirige film perché si diverte, perché è quello sa fare e che spera di continuare a fare per ancora tanto tempo. Newyorchese doc, clarinettista provetto e uomo perennemente in conflitto con se stesso. Parla di filosofia, religione e psicanalisi e non cerca mai la risata facile; gli piace raccontare la vita, New York e i suoi abitanti. Ha girato commedie, noir, gialli; ha girato film sentimentali e drammatici: la lista, tra i più e i meno conosciuti, è infinita e sceglierne uno rappresentativo è difficile.
Questo il programma:
alle ore 19,00
'WOODY', un documentario di Robert B. Weide (2012). Weide prova a fare il punto su una carriera strabiliante del regista newyorchese e lo fa partendo dall'uomo Allan Konigsberg, dal suo quartiere di Brooklyn, dal cinema dietro l'angolo che non c'è più, sostituito da un centro medico senza charme, dalla macchina da scrivere, la stessa da quarant'anni, dai ricordi di famiglia, brevi ma preziosi, della madre e della sorella, attraverso quaranta titoli dei suoi lavori. Weide segnala delle cesure importanti, che Allen commenta quasi minimizzando, ridimensionandone senza spocchia la portata. Ne escono due immagini, contraddittorie o forse no: da un lato quella di un bambino allegro che la scoperta della mortalità ha depresso per sempre, dai cinque anni in poi, e dall'altro quello di un lavoratore instancabile, che nonostante non vedesse un senso non ha mai smesso di cercarlo, denunciarlo e raggirarlo. Ne esce soprattutto un 'metodo Woody', vincente e forse l'unico possibile per chi dell'arte ha un bisogno letteralmente vitale e non accessorio. Un metodo che consiste nel fare senza sosta, senza perdere tempo, con l'unica condizione che non ci siano condizioni, ovvero che il controllo del regista sul suo prodotto sia totale e che egli possa considerarsi il responsabile di ogni merito e di ogni colpa.
alle ore 21,00:
'STARDUST MEMORIES' di Woody Allen
Uno dei film che meglio addensa i temi ricorrenti di Woody Allen, proprio in quanto tratta primariamente il rapporto fra l'artista e l'opera d'arte, in particolare fra il regista ed il cinema. Il film ha forti caratteri autobiografici proprio riguardo alla concezione dell'opera cinematografica, ovvero nella relazione fra commedia e tragedia, su come la direzione dipenda fortemente dalla ricezione ed il gusto del pubblico, il quale orienta la direzione inevitabilmente alla risata, e, in ultimo, su come l'immagine del comico diventi un'etichetta stantia, generante attese diffuse e difficile da scrollarsi di dosso. Per tutto il corso del film persiste la domanda esistenziale di fondo sulla ricerca del senso, qualcosa a cui aggrapparsi della vita che non vacilli e che dia fondamento a tutto il resto.
L'idea centrale alla base di Stardust Memories è palesemente e dichiaratamente tratta da 8½ di Fellini, tanto che la critica americana stroncò il film proprio per questo smaccato riferimento pericolosamente vicino al plagio. Inoltre, la scena iniziale del film di Allen, è quella di un sogno in bianco e nero, come tutto il film, e come l'inizio del capolavoro felliniano. Il sogno del protagonista, infine, è un'altra citazione de Il silenzio (Tystnaden) di Ingmar Bergman.
Oltre all'interpetazione di una giovane e bellissima Charlotte Rampling, compare anche per la prima volta sugli schermi, anche se per pochi secondi, l'attrice Sharon Stone.